Una stella del rock in declino, con severi problemi di salute e dedita all’alcolismo, incontra per caso, nel corso di uno dei suoi consueti vagabondaggi in cerca di whisky, un’ aspirante musicista che si esibisce in un locale di periferia. La giovane promessa ha una voce straordinaria e subito attira l’attenzione del rocker più navigato. La storia è nota e conosciuta. A star is born, film presentato all’ultimo festival del cinema di Venezia e da qualche giorno in cartellone nelle sale ai due lati dell’oceano, altro non è che il quarto remake di una vicenda classica ed esemplare. La stella cadente e l’astro nascente si incontrano e si innamorano, con tutte le possibili ricadute che una simile situazione riesce a innescare: gelosia e assieme ammirazione per il successo della partner, incomprensione e incapacità di accettare i necessari compromessi imposti dallo show business, dolore per il tempo che passa e infine le conseguenze di una vita vissuta senza freni. Dopo Judy Garland e Barbra Streisand, questa volta sul grande schermo nei panni della futura stella del pop, troviamo una quasi irriconoscibile Lady Gaga, che affianca Bradley Cooper nel duplice ruolo di attore protagonista e regista.
Il film, nel suo complesso, è un classico plot hollywoodiano: estremamente colorato e a tratti eccessivo. La telecamera indugia spesso nei dettagli dei volti, con occhi e bocche in primissimo piano. Le vicende più dolorose sono spesso trattate solo in superficie e questo è l’appunto più grave che mi sento di fare a una pellicola che mi ha tuttavia colpito favorevolmente, soprattutto grazie all’interpretazione di una straordinaria Lady Gaga alias Ally, che non teme per nulla il confronto con chi l’aveva preceduta nel medesimo ruolo (Garland e Streisand).
Film musicale, un ruolo importante è riservato alla colonna sonora, composta dai due protagonisti quando erano impegnati sul set e pubblicata in contemporanea all’uscita del film nelle sale. A dare un aiuto in fase di realizzazione dei brani, autori noti della scena country a stelle e strisce come Lukas Nelson, figlio di Willie, Jason Isbell e Dave Cobb, nonchè musicisti vicini a Lady Gaga, come Mark Ronson, Hillary Lindsay e DJ White Shadow. Lady Gaga si mostra qui in una veste insolitamente semplice e priva degli orpelli stravaganti che caratterizzavano un tempo il suo look: allo stesso modo, nelle tracce interpretate nel corso del film e inserite nell’OST, la sua voce, prestata a melodie meno pop appare meno artefatta e riesce a farsi apprezzare in tutta la sua purezza.
Bello l’omaggio dedicato proprio alla Gardland a inizio film con il breve accenno di Somewhere Over The Rainbow interpretata a cappella.
Eccellente anche l’interpretazione de La Vie en Rose, canzone sempre rischiosa da affrontare per via degli inevitabili raffronti, ma Lady Gaga se la cava egregiamente.
Anche Bradley Cooper ne esce bene. Il suo Jackson Maine, dal look grunge è convincente e i brani interpretati nel corso del film spaziano dal rock più classico a pezzi con venature più blues e contry.
Fra gli episodi più belli Alibi e Out of Time.
Per ovvie ragioni i pezzi forti del film sono i duetti. A partire da Shallow, primo momento in cui i due protagonisti dividono il palco.
Ma occorre segnalare anche Digging My Grave e I don’t know what love is: quest’ultima particolarmente struggente.
Infine chiude il film e anche la colonna sonora la commovente I’ll never love again, brano classicamente hollywoodiano per un film che, penso, non faticherà a fare incetta di Academy Awards. Avremo occasione di riparlarne.
7/10